PROSECUZIONE PRESENTAZIONE DELL'OPERA DI A.M.GIALDINI di LUCA TRABUCCO
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Considerazioni sulla Scultura
di Alfonso M. Gialdini, Scultore

In occasione della lavorazione di una scultura in materiale particolarmente duro, la fatica, anche fisica, che ho sopportato mi ha permesso di puntualizzare il mio modo di vedere (anche se in parte in quanto scultore) per ciò che riguarda le arti figurative e la scultura in particolare.
Il fatto che a certe considerazioni sia arrivato proprio per le difficoltà e la "sfida" offertami dal materiale non è casuale. Pur essendo convinto che comunque la forma debba dominare sulla materia, (ovvero se il pezzo ha contenuto artistico, in linea di massima il materiale può essere qualunque), mi accorgo che il materiale è più importante dal punto di vista emotivo per l'artista che per l'osservatore. La cosa purtroppo spesso viene rovesciata: l'osservatore dà più importanza al materiale che al contenuto, in un rovesciamento di termini dovuto spesso a motivi strettamente inerenti al mercato.
Quelle che dico non sono novità, ne ha già parlato Moore e ne ha specificato precedentemente il significato Bourdelle, allievo di Rodin. Quest'ultimo, altro non ha fatto che riuscire a dire un sentimento che è parte integrante del vero scultore. Il problema si svolge attorno al concetto di "cristallizzazione" del tempo, o senso del magico o del dio come, a mio parere, sostiene Bourdelle.
Per spiegare questo concetto faccio un confronto rapido fra pittura e scultura. In generale in un quadro si può rappresentare un qualcosa di sfumato nella realtà (paesaggio, natura morta, ecc.) mentre nella stragrande maggioranza delle opere scultoree c'è uno stacco netto fra l'opera e lo spazio circostante o reale, a parte qualche eccezione (vedi interni di Martini). Non è casuale che quasi sempre il soggetto scultoreo sia un corpo o corpi umani (Moore specifica che la sua "guida" è il corpo di donna, cosa che sento e condivido anch'io).
L'effetto "magico" si ottiene "staccando" senza sfumare l'opera nella realtà circostante, cosa che succede quasi inevitabilmente con la scultura: tale effetto porta a "cristallizzare" il tempo: da ciò il dio. Io ritengo la scultura arte più primordiale della pittura: non ha bisogno della mediazione raziocinante per esprimere il concetto evoluto e complicato. Un paesaggio ha bisogno della prospettiva che a sua volta ha bisogno di studio e quindi di una più forte mediazione fra il sentimento e la sua espressione. Lo stesso gesto dello scolpire, ovvero piegare un materiale ribelle al proprio sentire, è quello che permette l'unica mediazione dello scultore, quella fra gli istinti, i sentimenti, la fantasia e la loro realizzazione nel reale e quindi la creatività. Proprio per questo lo scultore talvolta apprezza ed ama il materiale duro e ribelle perché in certi casi vuole esprimere i suoi sentimenti fortemente contrastanti (il titolo spesso non coincide con quello che ha sentito intimamente l'artista, è un'altra mediazione che fa per pudore o per comunicare un modo di vedere più "adulto" all'osservatore), per cui il materiale stesso è in qualche modo simile ai suoi sentimenti; la durevolezza nel tempo del materiale usato vuole affermare il dominio dell'artista su se stesso e dimostrarlo alla persona (o persone) che gli è più cara, ottenendo allo stesso tempo, ma in seconda istanza, l'effetto di "cristallizzazione" del tempo per l'osservatore.


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Una nota.
Alfonso Gialdini si occupa di utilizzare la propria capacità artistica presso l'IMFI, Istituto per le materie e le Forme Inconsapevoli, presso l'ex OP di Genova Quarto. Nel lavoro di riabilitazione e cura dei pazienti cronici si è impegnato da tempo con entusiasmo e competenza. Le considerazioni che ci invia sono un sostrato importante per l'applicazione con questi pazienti. (Luca Trabucco).




Approfondimento di" considerazioni sulla scultura".
Puntualizzazioni su una situazione mentale: la frustrazione
di Alfonso M. Gialdini, Scultore

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In "considerazioni sulla scultura", ho provato, sinteticamente, a correlare una parte intima dello scultore con le sensazioni del fruitore dell'opera. Ora provo ad esprimere, dopo un rapido esempio che dovrebbe essere chiarificatore sul concetto del "dio", come può congegnarsi il meccanismo della frustrazione.
"Grande nudo femminile" di Viani, per positura e per proporzione, figura di donna a gambe esasperatamente allargate, formanti un ponte in cui il busto è talmente compresso da perdere quasi completamente ogni connotazione femminile, ricorda il "dolmen". Il dolmen è a mio parere rappresentazione del concetto del "dio": grande, che sovrasta, ma con la possibilità di accogliere. Non serve gran sforzo di fantasia od acume per ipotizzare che il "dio" altro non è che l'oggetto d'amore primario, dentro il quale siamo stati in situazione di beatitudine. Ricordo che "dei" fondamentali di epoche arcaiche erano femmine (Gea, Cerere, che agli albori aveva come idolo una pietra, la stessa pietra nera della mecca forse è derivazione di tale usanza - Maometto costruisce l'islam quasi scientificamente, onde poter coagulare e dare regole alla diaspora araba). La situazione di beatitudine stessa, del paradiso cristiano è possibile sia una simbolizzazione-speranza del ritorno alla situazione prenatale dopo morti. Il concetto di madre-oggetto d'amore primario-dio, può essere esteso, per vissuto ed esperienze individuali, al concetto di "guida "o "modello" che dir si voglia. Come già dissi in "considerazioni sulla scultura ", l'artista ha bisogno di una idea guida, ovvero "idea protettiva" che gli permetta di esprimer in modo "estetico" sentimenti molto forti, connessi al suo vissuto, talvolta travagliato.
Tale idea non può essere sconnessa da una persona (modello) esistente, che viene idealizzata nella mente e nel lavoro dell'artista seguendo le più intime esigenze, slanci affettivi, desideri, fantasie. Dato che la persona è reale il farne un "modello", ovvero renderla perfetta porta alla contraddizione nel confronto con la realtà in cui le "persone guida" non possono essere totalmente rassicuranti per quanto riguarda angoscie e paure. E' tipico dell'artista fare il passaggio alla idealizzazione, egli sotto molti punti di vista resta un bambino, il quale usa un metodo evoluto di comunicare "se stesso" con strumenti affinati dalle esperienze di adulto, ma che devono lasciare spazio alla comunicazione "forte"e "immediata" tipica del bambino, permettendo quindi all'osservatore di recepire il messaggio istintivo e "leggerlo" tramite il suo specifico vissuto e cultura. La foga nello scolpire, nel produrre, è una materializzazione dei sentimenti contrastanti, la stessa creazione artistica è una conferma della "bontà" delle proprie "guide", anche se imperfette. Finita la creazione e, preso atto della realtà, (durante la lavorazione il mondo dell'artista non è quello reale, se non per quanto riguarda l'uso degli strumenti tecnici e per alcuni canoni estetici) viene fatta mente locale. In modo assai contradditorio, più la sua opera è valida (confermando quindi intrinsecamente la bontà delle sue "guide"), meno è bastante a rappresentare la sicurezza di base che gli hanno fornito: di qui la frustrazione, quella più intima. Superata la momentanea delusione, l'artista riprenderà il lavoro in un ciclo chiuso, che come ho già fatto trapelare è quello che porta alla creatività. In questo procedere, a mio parere, il punto più difficile da superare è quello del momento di depressione dovuto alla frustrazione, momento che rischia (soprattutto se il vissuto dell'artista è travagliato) di provocare lunghe pause ed al limite la cessazione dell'attività: questo caso non è esente da implicazioni patologiche che in questo momento non è il caso di approfondire (inoltre c'è chi sa farlo meglio di me). Io sono convinto che parte delle cause che portano a discontinuità notevoli o cessazione di produzione sono dovute non tanto alla mancanza di riconoscimento palese da parte dei fruitori, bensì hanno radici in un circuito mentale chiuso, apparentemente protettivo perché esclude la fatica evolutiva (e questo vale in qualunque campo) dovuta alla frustrazione dello scontro con la realtà. Nella realtà è presente in molti autori anche un "interiore erotico" che può essere parte basilare e/o integrante delle loro opere. Esempio ne è Bacon, a mio parere, ed in certo qual modo, ma distante (e molto) da Bacon, lo stesso Michelangelo: su quest'ultimo c'è da fare un discorso a parte ed unico, vista l'immensità estetico-contenutistica della sua opera. Tale interiore "erotico" è quello che può portare al circuito chiuso apparentemente protettivo, che è esattamente il contrario del circuito chiuso creativo, pur restando fermo che hanno punti ed alcune radici comuni.






MACHINE CULTURE DI A.M.GIALDINI