PRESENATAZIONE DELL'OPERA DI A.M.GIALDINI di LUCA TRABUCCO(proseguimento)
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PSYCHOMEDIA TERAPIA NEL SETTING ISTITUZIONALE
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Centri per la Riabilitazione



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Un giardino delle sculture per il Centro Basaglia di Genova: lo spazio reinventato
Margherita Levo Rosenberg

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Lo spazio, il luogo in cui viviamo o fantastichiamo di vivere, le strade, gli alberi, i giardini coi quali conserviamo una relazione, assumono nei nostri pensieri una tonalità affettiva, legata alle esperienze ed ai ricordi che in qualche modo vi sono legati.
Così come altri luoghi, anche i giardini dell'ex ospedale psichiatrico di Quarto, legati com'erano, nell'immaginario collettivo, alla realtà storica di emarginazione, circondati da un alone di mistificazione rispetto alla realtà del disagio psichico, vissuti come topoi della follia e del degrado, abitati da gatti e scarafaggi, contaminati di malattia e di malati, non hanno goduto di buona reputazione fino a qualche mese fa.

Ora, da qualche giorno, il "manicomio" è chiuso. Chiuso per sempre con le sue torri che sembravano inespugnabili, chiuse anche le ultime roccaforti della resistenza strenua di chi ha creduto, fino alla fine, nella cura della malattia come nella custodia di un segreto.

La psicosi porta certamente con sé i suoi segreti, segreti da cui tutti siamo esclusi, ma le persone, tutte le persone conservano uno spazio da condividere che non può e non deve, per nessuna ragione, essere precluso. E' questo uno spazio che straripa dagli argini e che nessuna barriera, fortunatamente è riuscita a celare per sempre, grazie anche all'impegno di enti ed associazioni tra cui l'Istituto per le Materie e le Forme Inconsapevoli.

Basta percorrere i corridoi del Centro Basaglia, nato in luogo di una divisione manicomiale, e sbirciare alle pareti le opere pittoriche dei tanti frequentatori degli ateliers di arte-terapia, italiani ed esteri, e dei tanti artisti che hanno accettato di "esporsi" a fianco dei malati, per rendersi conto di come il "segreto" della psicosi abbia voluto depositarsi in colori e forme che respirano e respireranno ancora, oltre le inferriate ed oltre ogni barriera possibile.

L'Istituto per le Materie e le Forme Inconsapevoli, nato nel 1988 come organizzazione di volontariato in convenzione con la U.S.L., ha lavorato, in tutti questi anni per far emergere e conservare, non tanto la voce della "follia", bensì la voce delle "persone", di tutte quelle persone che ancora non avevano spazio sufficiente per essere ascoltate; con la sezione Museattivo Claudio Costa - dal nome di uno dei suoi fondatori, artista precocemente scomparso nel 1995 - viene conservata una cospicua raccolta di lavori frutto dell'espressività di artisti e non artisti, che a vario titolo hanno collaborato alla demolizione delle barriere culturali che si frapponevano, nel passato più che nel presente, tra normalità e follia, tra salute e malattia, tra identità e anonimato.

Tra le conquiste sociali maggiormente apprezzabili degli ultimi anni vi è senza dubbio l'impegno ad abbattere le barriere architettoniche che, fino a pochi anni or sono, hanno impedito ai disabili pari opportunità di fruizione di spazi pubblici e privati; vi sono però altre barriere, architetture virtuali dello spazio mentale, che potrebbero rivelarsi tristemente resistenti, muri di gomma del desiderio di relazione, barricate trasparenti tra due mondi, quello dei "più" fortunati e quello dei "meno", cui la vita ha negato la serenità dell'essere "normali".

Il "manicomio", ora, è chiuso ma abbassare la guardia, ritenere di aver demolito per sempre le barriere, potrebbe rivelarsi un'illusione; il Museattivo C. Costa, attivo per definizione, vuole continuare nel suo impegno di rendere visibile coloro che possono sembrare invisibili, nella convinzione che il disagio abbia bisogno di supporto costante, di solidarietà e coinvolgimento sociale; l'arte può diventare un veicolo importante per realizzare questi obiettivi.

In occasione delle celebrazioni per la festa della Liberazione, il 25 aprile, quest'anno l'Istituto per le Materie e le Forme Inconsapevoli, in collaborazione con la A.S.L. 3 Genovese, attraverso la sezione Museattivo C. Costa, ha arredato il giardino antistante il Centro di Riabilitazione Psichiatrica F. Basaglia con alcune sculture già nella collezione del Museo dal 1992 ed altre di più recente acquisizione.

Grazie alla volontà e all'impegno dello scultore Alfonso Gialdini, che si è prodigato in prima persona per allestire il giardino delle sculture, inaugurato il 23 aprile 1999, hanno trovato collocazione le prime sei opere degli artisti A. Barone, E. Boero, S. Lunini, A. Perniciaro e A. Gialdini stesso che, con il suo "busto" liberato dalle "valve" simbolicamente interpreta il concetto di "liberazione".

Di prossima collocazione opere di E. Alfieri, C. Bednarski, G. Moser Wagner, A. Bove, D.M. Raggio, F. Repetto, E. Bixio, P. Gaietto, G. Sessa, S. Parodi e G. Asfodele accanto alle quali saranno collocati anche alcuni lavori realizzati nel 1996 presso il Centro F. Basaglia, da un gruppo di ospiti dell'ex Ospedale psichiatrico, opportunamente indirizzati dal maestro Gialdini, che ha lavorato al fianco degli operatori del Centro di Riabilitazione psichiatrica nell'ambito di un progetto sperimentale di terapia dell'aggressività attraverso il mezzo scultoreo.




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La scultura di alfonso M.gialdini
La scultura di Alfonso Gialdini si sviluppa attorno ad un nucleo centrale ed è sovente concepita come composizione di piani che si espandono nello spazio.
Un nucleo da intendere come concentrato di forze che premono verso l’esterno e che spingono la materia a dilatarsi in superficie,come lo” smallarsi”della noce,per comunicare con l’ambiente circostante.
E lo” zoccolo duro”della materia scultorea,la pietra,riesce così a subire trasformazioni sublimali capaci di virtualizzare la sostanza stessa per arricchirla d’ulteriori significati.
La pietra,infatti,rappresenta per lo scultore cio’ che questo simbolo effettivamente nasconde ed al contempo ri-vela:il senso di industruttibilita’ e di coesione.Dunque convincente richiamo all’eternita’ attraverso la sua durata illimitata,pari alla struttura rocciosa su cui si fonda l’universo.Ma anche come principio maschile nella condizione di elemento fallico proiettato verso l’alto e,al contempo,principio femminile nella specificita’ di corpo sgrossato dallo scalpello.
L’opera dello scultore Gialdini si basa infatti su qualita’ ossimoriche che la fanno vivere e la nutrono di polarita’ opposte:se la materia denuncia una evidente possanza in virtu’ del suo peso specifico,al contrario la tattilita’ morbida e scivolosa della sua superficie conferisce alla perezione visiva un senso etereo di leggerezza.E ancora:alla densita’ corposa del blocco patrigno corrisponde la levigatezza dei piani formali che,inondati di luce,riescono a creare vellutati effetti di diafane trasparenze.La staticita’ si trasforma allora in mobilita’ luministica mentre la fisicita’ di pietra,virtualmente,pare acquisire aspetti di liquidita’.
Anche il linguaggio artistico subisce continue oscillazioni:nel lavoro dello scultore si possono infatti cogliere espressioni figurali capaci di convivere con soluzioni astratte.Qui accenni di corpi umanu vengono assorbiti da gonfiori della materia come se essa fosse spinta da un’energia endogena in forte espansione.
Una scultura,quella di Gialdini, che se per certe soluzioni puo’ ricordare Viani o Brancusi, in altre se ne stacca completamente in modo da suggerire valori mutevoli così da identificarsi con la complessita’ del vivere odierno

Miriam cristaldi