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ALCUNI COMMENTI SULLA MIA SCULTURA(in fase di costruzione)
Le sculture di Alfonso Gialdini: ricerca di soluzioni tecniche e rappresentazione delle emozioni.
di
Marco Franzone

Gran parte delle conversazioni sulla scultura avute con il maestro Alfonso Gialdini è stata spesa intorno a problemi relativi alla specifica ricerca di “alchimistiche” combinazioni tra materiali lapidei oppure sui vizi e le virtù delle pietre naturali, le più e le meno pregiate come quelle più o meno lavorabili e ancora su complessi studi per ottenere l’effetto del bronzo lavorando la pietra e così via. Questi racconti avvincenti, che spiegano il nucleo della ricerca di Alfonso Gialdini, si dirigono poi abitualmente verso l’affascinante rievocazione della volta in cui riuscì a procurarsi, per farci una scultura, uno splendido e unico blocco di legno tek -forse l’albero di un’antica nave o la trave di una vetusta costruzione- o di quando trovò in natura un piccolo e circoscritto giacimento di pietra da lavorare.
Il suo ufficio domestico, separato dall’officina in cui scolpisce, ricorda un piccolo studiolo rinascimentale dove innumerevoli componenti si uniscono in un insieme unitario e indecifrabile: arnesi, curiosità, fossili, miniature, fogli disposti ordinatamente in perfetto disordine.
Evidentemente di Gialdini, accanto alla priorità di una vivida umanità, emerge il sostrato dei suoi compiuti studi di ingegneria meccanica che lo portano a legare fortemente l’azione creativa e ideativa, in lui libera e sensibilmente emotiva, con i meccanismi di controllo e programmazione propri del metodo scientifico.
Il risultato è sorprendente perché si rivela capace tanto di far comprendere le virtù tecnico-costruttive della scultura quanto di trasportarci con immediatezza nel mondo delle idee e delle emozioni.
L’artista investe sia in scultura figurativa sia in opere di ricerca dinamica, astrattamente formali: scolpisce in sintesi seguendo un’ispirazione di tipo sintetico-antropomorfo.
L’oggetto principale del suo studio è la rappresentazione della figura femminile, proposta in numerose varianti di sensibilità: ferina Venere steatopigica di sapore tribale (…) o esile, ma monumentale, tuffatrice sospesa per aria (…). Ancora, fatta tutta di membra, calda protettrice dell’uomo che avvolge con forti abbracci (…) o fiera sostenitrice del primario contributo femminile alla vita (…), quando non ambisce a suonare con il proprio corpo come la cassa armonica del violino (…).
L’alternativa per Gialdini sono le teste di cavallo, naturalistiche rappresentazioni di colli nervosi, negli studi per sé, o dinamiche e forti macchine belliche, come locomotive in corsa con le redine che diventano bielle (…): cavalli che sono il simbolo della corsa alla liberazione dei popoli, bestie forti e docili che stramazzano, sacrificandosi di fronte a un ingiusto e violento trattamento del padrone (…). Il Rompighiaccio, sul tema-studio delle teste di ariete, rappresenta ancora questa tensione potente, difficilmente governabile lanciata verso un destino mortale.
A Genova il maestro Gialdini, dal 199. , mette a disposizione dei degenti dell’ex ospedale psichiatrico di Quarto, i propri mezzi e conoscenze, organizzando corsi di scultura all’interno di un programma di riabilitazione espressiva: ottiene particolari successi nel veder migliorare,anche attraverso questa
esperienza la condizione degli allievi.

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La scultura di alfonso M.gialdini
La scultura di Alfonso Gialdini si sviluppa attorno ad un nucleo centrale ed è sovente concepita come composizione di piani che si espandono nello spazio.
Un nucleo da intendere come concentrato di forze che premono verso l’esterno e che spingono la materia a dilatarsi in superficie,come lo” smallarsi”della noce,per comunicare con l’ambiente circostante.
E lo” zoccolo duro”della materia scultorea,la pietra,riesce così a subire trasformazioni sublimali capaci di virtualizzare la sostanza stessa per arricchirla d’ulteriori significati.
La pietra,infatti,rappresenta per lo scultore cio’ che questo simbolo effettivamente nasconde ed al contempo ri-vela:il senso di industruttibilita’ e di coesione.Dunque convincente richiamo all’eternita’ attraverso la sua durata illimitata,pari alla struttura rocciosa su cui si fonda l’universo.Ma anche come principio maschile nella condizione di elemento fallico proiettato verso l’alto e,al contempo,principio femminile nella specificita’ di corpo sgrossato dallo scalpello.
L’opera dello scultore Gialdini si basa infatti su qualita’ ossimoriche che la fanno vivere e la nutrono di polarita’ opposte:se la materia denuncia una evidente possanza in virtu’ del suo peso specifico,al contrario la tattilita’ morbida e scivolosa della sua superficie conferisce alla percezione visiva un senso etereo di leggerezza.E ancora:alla densita’ corposa del blocco petrigno corrisponde la levigatezza dei piani formali che,inondati di luce,riescono a creare vellutati effetti di diafane trasparenze.La staticita’ si trasforma allora in mobilita’ luministica mentre la fisicita’ di pietra,virtualmente,pare acquisire aspetti di liquidita’.
Anche il linguaggio artistico subisce continue oscillazioni:nel lavoro dello scultore si possono infatti cogliere espressioni figurali capaci di convivere con soluzioni astratte.Qui accenni di corpi umani vengono assorbiti da gonfiori della materia come se essa fosse spinta da un’energia endogena in forte espansione.
Una scultura,quella di Gialdini, che se per certe soluzioni puo’ ricordare Viani o Brancusi, in altre se ne stacca completamente in modo da suggerire valori mutevoli così da identificarsi con la complessita’ del vivere odierno.

Miriam cristaldi

 



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